Era la prima volta per me in Bosnia
Francesca Palmieri, di ritorno da un campo di volontariato nei pressi di Bihac, in Bosnia Erzegovina, ci ha scritto …
“Si sa che i viaggi in macchina, oltre a creare un’innata sonnolenza in qualsiasi momento, sono buoni per guardare fuori dal finestrino e pensare, ma non sempre è così facile. La strada da Sarajevo a Bihac è tutta innevata, fuori ci saranno meno dieci gradi e dentro giusto qualche grado in più. Guardo la mia compagna di sedile che in questi giorni continua a litigare col finestrino, sì perché continua ad appannarsi e non le lascia mezzo minuto di tranquillità per godersi il paesaggio, e ancora una volta è alle prese con questa difficile relazione: il finestrino si appanna e lei non riesce a vedere fuori. Il mio di finestrino invece è ghiacciato e sono quasi tentata di appiccicarci la lingua, come si faceva da piccoli sui ghiaccioli per fare a gara a chi rimaneva attaccata, ma dopo qualche secondo di incertezza rinuncio all’idea, chissà come l’avrebbero presa i miei compagni di viaggio anche se probabilmente avrebbero fatto iniziare la gara. Allora inizio a chiedermi perché il mio finestrino è ghiacciato e quello della Michi è appannato, già perché siamo vittime di due fenomeni diversi a mezzo metro di distanza? Subito abbandono l’ambito delle spiegazioni scientifiche e inizio a divagare sullo stato dei nostri cuori che potrebbe influenzare lo stato emotivo del nostro amico finestrino. Ma non può essere! Come fa a essere ghiacciato se io sto esplodendo di emozione? Non vedo l’ora di riabbracciare le piccole, e alcune un po’ meno piccole, pesti; non vedo l’ora di impazzire dietro qualche laboratorio o cantare qualche ban fino all’esaurimento; siamo appena stati a Sarajevo, ho mangiato un sacco e riso ancora di più, come faccio a non essere felice? Esausta dal cercare di capire cosa vuole da me il finestrino gli rivolgo le spalle così magari la smette di infastidirmi. Quando mi risveglio alla radio suona la Plava Orkestar, giustamente siamo nei Balcani e non può mancare la musica, i miei compagni battibeccano su un qualche argomento controverso e a me viene in mente Almedina.
Era la prima volta per me in Bosnia ed era anche la prima volta che facevo animazione con i bimbi rom. Il quartiere di Ruzica si trova a circa quindici minuti di macchina da Bihac; lungo la strada si passa di fianco alla fabbrica della Meggle dove bisogna rigorosamente salutare la gigantesca mucca che la presiede, dopo qualche centinaio di metri si svolta a sinistra e si arriva al centro. La stanzetta che abbiamo a disposizione è freddissima ma grazie ad Almedina, che ti è già saltata in braccio quella ventina di volte nel giro di qualche minuto mettendo alla prova la tua prestanza fisica, ora fa quasi caldo. Di giochi possiamo farne pochi a causa dello spazio ridotto ma i laboratori, i bans e le eventuali canzoncine vanno alla grande. I bimbi sono pochi, dieci massimo quindici, ma chissà perché quando sono lì ho l’impressione siano il doppio se non il triplo. Sarà che la loro esuberanza, iperattività, affettuosità, voglia di fare e giocare sono talmente grandi che uno di loro vale per tre. Ma che importa, è proprio questo il bello!
E così sono passati dieci giorni, domani mattina si riparte per Milano. Questa volta sono veramente carica, piena, strabordo. Non so più dove mettere le cose, i pensieri, le emozioni. C’è qualcosa di magico in quei luoghi e nelle persone che abbiamo conosciuto. C’è qualcosa di sofferente nel silenzio che aleggia nei piccoli villaggi quasi deserti e in alcuni sguardi scambiati. Ma c’è anche qualcosa di commuovente negli incontri, nelle colline innevate, nei racconti di vita vissuta. C’è qualcosa di inspiegabilmente emozionante nei bimbi, in Almedina, Mirzeta, Pipi. Sono tornata emozionata, sofferente, commossa. Sono tornata malinconica e nostalgica. Sono tornata piena di cibo sicuramente. Ma ogni tanto mi chiedo, sono davvero tornata?
La Bosnia, i miei compagni di viaggio, i bambini sono stati una boccata d’aria in una quotidianità spesso troppo stretta. Ora non resta che trattenere il respiro fino al prossimo incontro.
Hvala!”