Infinito piccolo istante
Un’estate senza Terre e Libertà raccontata da Luca.
C’è un momento, una frazione di secondo, un piccolissimo ma percettibile impulso che scuote il corpo, dalla punta dei piedi all’ultimo ciuffo di capelli.
Sorpreso e meravigliato per la sua forza, qualche secondo prima nascosta chissà dove, che ora si dipana nell’ambiente, fatico a riconoscere se la terrà che avvolge i nostri piedi sia mossa dal vento o dai nostri passi, se le foglie degli alberi, che ci proteggono dai quaranta gradi, stiano seguendo il ritmo oppure, il solito vento di prima, le stia scuotendo.
Alle nostre spalle le Mainarde, davanti a noi una campo coltivato a pomodori, bieta, zucchine e piccolissime piante di peperoni. Le guardo e ci assomigliano: anche noi siamo grandi, piccoli, piccolissimi, siamo tutti diversi e tutti sudati mentre ci scuotiamo e scateniamo.
Cresce dentro di me una sensazione che sento provenire da lontano, conosciuta ma diversa da quando ci siamo abbracciati l’ultima volta.
Sento di essere vivo, attivo più che mai, presente, di essere uno ma tanti, con tante voci squillanti, rauche, assordanti, rilassanti, con l’intensità e i timbri che variano, un’orchestra che suona insieme per la prima volta, che così perfetta non poteva essere sognata, che permette di riconoscere ogni singolo strumento, ogni singolo interprete come unico, inimitabile, per questo necessario alla verità di un gesto che è unico che ci accomuna tutti.
Siamo finalmente insieme dopo tanti mesi, con la naturalezza che poco a poco ritorniamo a sentire nostra.
La vibrazione delle corde vocali sono accompagnate dal braccio che tende in avanti, che permette al pollice di andare su, alla schiena di piegarsi e alle gambe di sbilanciare il corpo e poi riportarlo in posizione eretta. E ancora le corde vocali, il braccio, il pollice giù, poi su e poi ancora giù e si gira su se stessi con un dito sulla testa e subito dopo si esulta con il pungo chiuso che parte dal basso e arriva in cielo, una, due, tre volte, con la voce bassissima e poi altissima, con la lingua annodata e con la purezza dell’improvvisazione che ci spinge a non finire.
C’è un momento, una frazione di secondo, un piccolissimo ma percettibile impulso che scuote il corpo, dalla punta dei piedi all’ultimo ciuffo di capelli, che ha la forza di generare l’inaspettato, di allineare il tempo, i ricordi, di portarmi in Kosovo, in Bosnia passando per Albania e arrivando in Moldavia. Di vedere i bambini di Bojano, insieme a quelli di Orasac, di Ruzica, di Rragam, di Dragash e i Ialoveni.
C’è un momento in cui il passato si fa presente, un momento in cui dire Awanagana significa ripartire, significa riconoscere che qualcosa che quest’anno non raggiungerà posti lontani è comunque vivo, significa riconoscere che è radicato in me, che è parte di me, che parte con me ovunque vada, che mi ricorda quanto possa fare bene, quanto sia importante condividerlo con altri, perché è questa la sua forza, la sua sostanza, la sua magia.
Luca Limonta
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